A volte è necessario guardare al passato per avere più consapevolezza nelle analisi dei problemi del presente.
A tale scopo è importante ricordare, anche se può sembrare anacronistico dopo 35 anni, quel progetto relativo alla costruzione della mega centrale a carbone nella nostra città. Quando si sparse la notizia che il Consiglio comunale di Gela il 18 aprile 1986 aveva approvato la delibera relativa alla installazione della mega centrale a carbone da 1280 mw nella zona relativa al lago “Biviere”, la preoccupazione fu tale, da tenere con il fiato sospeso gran parte della popolazione.
Per dare una idea, molto sintetica, essa avrebbe prodotto ogni giorno: 200 tonnellate di So2 e poco meno di 100 tonnellate di ossidi di azoto, carbonio e ceneri con metalli pesanti. A ciò si aggiungerebbero le conseguenze del salto termico che avverrebbe nel mare antistante la centrale, con un aumento di circa 10° c, superiore alla temperatura normale, con logiche di cambiamento di microclima marino. Infine, si pensi alle piogge acide ed effluenti radioattivi che viaggiano negli strati alti dell’atmosfera, che possono cadere anche a centinaia di km, ma che ricadono soprattutto nelle vicinanze della centrale (Alberto Ziparo, Università di Reggio Calabria). Personalmente aggiungo che se si considera l’esistenza della centrale a pet-coke dell’Eni con la coesistenza di quella a carbone, l’inquinamento sarebbe stato non la somma di addendi, ma una somma esponenziale.
Per illustrare quel periodo è utile sapere che la Sicilia (per il 18 % della sua produzione) e la Calabria (per il 70 %) fornivano energia elettrica al Nord con quote sufficienti per coprire i bisogni futuri. Quindi energia elettrica destinata altrove e non indirizzata e finalizzata alla crescita economica ed industriale delle aree territoriali e regionali in cui avviene direttamente la produzione energetica.
Le prime informazioni su quanto si stava per abbattere sulla nostra città sono pervenute alla fine del 1985 dal consigliere comunale del partito ambientalista dei “verdi” del comune di Licata, dott. Vincenzo Marrale. Questa mega centrale a carbone, infatti, inizialmente era stata prevista nei pressi del villaggio marino di Torre di Gaffe, nel territorio di Licata. Marrale aggiunse che l’amministrazione comunale di Licata la rifiutò, in quanto una volta entrata a regime, la centrale avrebbe comportato un beneficio irrisorio in campo
occupazionale ed addirittura avrebbe creato un decremento socio-economico in termini di danni collaterali in agricoltura, pesca, turismo e servizi.
Il caso volle che Salvatore Morinello fosse stato nominato temporaneamente supplente di lettere nello stesso istituto scolastico dove io insegnavo. Lo stesso mi propose di aderire al “Comitato di studio sulla centrale a carbone”. Diedi la mia adesione e immediatamente ci dividemmo i compiti per fare opera di informazione sugli inconvenienti che avrebbe causato tale costruzione e cercare di trovare solidarietà.
Personalmente dovevo operare nell’ambito delle scuole e club service locali; Morinello, invece, in quello del consiglio comunale gelese e dei comuni del comprensorio quali Butera, Niscemi, Vittoria e Licata; mentre il presidente del comitato, dott. Franco Gattuso, persona integerrima non più tra noi, si sarebbe adoperato nel mondo medico, ospedaliero e regionale.
Il Comitato avviò una raccolta firme in città e ancora ho presente il discorso che mi fece l’ingegnere ed assessore comunale dell’epoca, Domenico Faraci, in cui traspariva il suo scoraggiamento: “ormai, tutto è stato deciso dall’alto, per cui mi sembra inutile proseguire la lotta”. A cui risposi: “non mi voglio rendere complice dell’eventuale costruzione della mega centrale a carbone, indipendentemente se dovessimo noi tutti perdere questa battaglia”.
Fui accusato di imbottire gli studenti, con cognizioni scientifiche contrarie a questa realizzazione e di spingerli a scioperare per non fare lezioni. Guarda caso, lo sciopero iniziava nel mio istituto e poi si estendeva a macchia d’olio. Ai mal pensanti, risposi affermando che le varie fonti energetiche con i pro e le negatività, facevano parte del programma scolastico inerente ai miei studi universitari. Il Sovrintendente scolastico regionale, preoccupato per i vari giorni di sciopero degli studenti, convocò a Palermo i vari presidi degli istituti superiori per conoscerne le motivazioni.
Il Comitato ebbe la solidarietà delle varie associazioni ambientaliste (Lega per l’ambiente, Italia nostra, Wwf, Lipu, Associazione dei giovani agricoltori); l’appoggio dei medici ospedalieri; la collaborazione dei comitati studenteschi; del comitato sorto a Niscemi e quello di Licata e del Comitato contro la centrale a carbone di Brindisi. Particolarmente gradita fu l’adesione del Rotary club di Gela, il primo ad aver preso coraggiosamente posizione tra i vari club service cittadini. A tal proposito stilai una relazione, contraria alla costruzione che fu letta ed approvata in un convegno sull’ambiente svoltosi a Trapani dal Distretto di Sicilia e Malta ed inoltre fu affisso un manifesto murale.
Il Comitato allargò la sua attività organizzando, grazie al sindaco, prof. Vincenzo Giunta, che diede un contributo, un convegno in data 28/29 novembre 1986, con illustri luminari in campo scientifico universitario, ambientalisti, col professore di storia contemporanea Giuseppe Amata e, non ultimo, il sociologo dell’Unesco, Eyvind Hytten. I loro interventi, grazie ad un lungo lavoro di rilettura e di riproposizione effettuato dall’architetto Marina Marino e Giusi Ferrera, furono pubblicati in un libro, che si rivelò molto utile per comprendere i vari danni a cui la città sarebbe andata incontro. Nel mio piccolo depositai una breve relazione (pag. 88-89) che sintetizzo al massimo: “Stiano attenti i coltivatori delle contrade di Bulala, Catarrosone, S. Lucia, Mignechi di non farsi illudere dalle sommette offerte dall’Enel, poiché verreste a perdere la vostra ricchezza e il vostro posto di lavoro”.
Sintetizzo, altresì, l’intervento del compianto Hytten: «Ringrazio gli organizzatori per avermi dato l’occasione di tornare a Gela dopo 17 anni. Può sembrare strano, ma di tutti i posti in cui sono stato, i due anni trascorsi in questa città sono stati fra i più felici che ricordo». Certamente non per motivi materiali, ma per aver contribuito al risveglio della comunità locale e a quello che stava succedendo con la cosiddetta industrializzazione, cioè la fine di un mito e della missione rinnovatrice dell’impianto petrolchimico. Da tutto ciò è’ scaturito quel libro dal titolo “Industrializzazione senza sviluppo: il caso di Gela”, tanto piaciuto alla stessa Eni da acquistarne quasi tutta la tiratura.
In questa lotta, a provare a mettersi di traverso furono purtroppo i sindacati che accusavano i vari componenti del Comitato di avere il “ventisette sicuro” e quindi di non comprendere i bisogni dei lavoratori.
Un’altra iniziativa proficua effettuata – anche se qualcuno del Comitato si era opposto ad essa – fu quella di scioglierlo poiché si avvicinava la data di una tornata elettorale di cui non ricordo se regionale o nazionale. Contestualmente ci fu l'affissione di un manifesto con questa dicitura: “Vota e fai votare tutti e soltanto coloro i quali si sono espressi contro la costruzione della megacentrale a carbone". Ma il lavoro prodotto dal Comitato, fece scaturire qualche mese dopo il convegno, l’approvazione della delibera di annullamento relativa alla costruzione della megacentrale a carbone.
É pur vero il detto: “l’unione fa la forza” e lo fu anche per Gela. A distanza di tre anni si affacciò un nuovo tentativo di costruirla. Anziché essere targata Enel, era targata Eni. Personalmente ero più preoccupato rispetto alla volta precedente, in quanto essa godeva anche dell’appoggio dell’amministratore delegato Giancarlo Fastame e dagli stessi sindacati. Insomma, operava in casa. Anche questa volta tornai a spingere il Rotary club di Gela, così come la prima volta, a prendere posizione pubblica contraria alla installazione della megacentrale a carbone, mediante un manifesto murale che ancora oggi conservo. Ebbene, con grande meraviglia, contrariamente alla volta precedente, la battaglia si rivelò di breve durata e piuttosto agevole. Sicuramente la cittadinanza aveva preso consapevolezza, grazie alle informazioni acquisite in precedenza, dei pericoli che avrebbe corso qualora avesse accettato tale costruzione. La terra è una sola e abbiamo il dovere di custodirla per i posteri.
Prof. Giuseppe Andrea Alessi (Fondatore e Coordinatore Archeo-Ambiente)