Gomiti sulla scrivania, la testa poggiata sul palmo della mano, osservo con unmisto di sconcerto, curiosità, incredulità la foto.
C’è una folla assiepata attorno tre uomini, che riconosco. Sono Nino Occhipinti, Emanuele Morselli (nella foto) e Vincenzo Iacono. Un noto personaggio politico, un docente universitario e un proprietario terriero.La fotografia è stata scattata durante una campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento italiano, nel 1958. Che cosa ci fa un “umanista della finanza”, Emanuele Morselli, con Nino Occhipinti e con il commendatore Iacono? Emanuele Morselli è il candidato al Senato nel collegio di Gela-Piazza Armerina per il Partito Monarchico Popolare, formazione nata dal fervido attivismo politico di Achille Lauro, sindaco di Napoli, armatore. “Il Comandante”, per i napoletani.
Morselli arcigno, selettivo nelle amicizie, non ama il comparaggio, quello affettivo, in auge nel meridione d’Italia, e l’altro, fatto di inciuci, furbate, ammiccamenti e scambi di favori. Non vede di buon occhio politici, non gradisce la confidenzialità e con la sua città mantiene un rapporto sobrio; non fa deroghe, se non alla famiglia, invero numerosa. E’ il cittadino più celebre di Gela, per i suoi meriti cattedratici e scientifici, ma non il più celebrato, c’è Salvatore Aldisio che raccoglie il consenso popolare per la lunga militanza politica ed il ruolo esercitato in Sicilia e nel Paese dentro il governo, nel dopoguerra.
Morselli fuori dall’alveo naturale, la Dc, nella terra di Aldisio? Qualcosa non torna. Una candidatura fuori partito cattolico a Gela non ha futuro. Morselli non può non sapere. Per quale strana ragione s’imbarca sul piroscafo del Comandante Lauro, che non può attraccare in alcun porto? Che cosa può averlo persuaso? Non certo il Comandante, con il quale Morselli non ha alcuna frequentazione. Chi, dunque? La risposta può venire dalla preziosa fotografia. Il mentore potrebbe essere Nino Occhipinti, uomo di mille risorse, che conosce a menadito le “regole” della politica politicante e ha fatto della sua vita una partita a poker giocata con suprema intelligenza e grande disinvoltura. “Caro professore, a Gela ti venerano, è la tua ora”, potrebbe avergli sussurrato. “La tua famiglia non conosce confini, la tua fama è senza uguali…”. Emanuele Morselli, che non sa niente di niente e si muove in un territorio sconosciuto, si lascia lusingare.
Tutto chiaro? No, c’è dell’altro, c’è Aldisio. Il padre dell’autonomia siciliana, cofondatore della Dc insieme a Giueppe Alessi, non si è lasciato affascinare dal cursus honorum del concittadino. Morselli non è nel suo cerchio magico, brilla di luce propria. E una ragione c’è, e essa non ha nulla di personale. Aldisio non ha alcun cerchio magico, nessun figlio al quale lasciare l’eredità politica, nessun figlioccio da nobilitare, nessun delfino da nominare. Tutto comincia e finisce con la sua personale storia politica, brillante ma solitaria. In più è possibile che non sia affatto contento di dovere spartire la fama di figlio migliore con il professore. Ma questa è una piccola cattiveria.
Emanuele Morselli non capisce perché sia ignorato, non se ne fa una ragione, e le consuetudini di Aldisio divengono un cruccio. La candidatura con il Comandante Lauro potrebbe essere stata suscitata dall’amarezza: Aldisio ignora la mia esistenza, la tenzone elettorale gli farà sapere che ci sono. Magari si pente. Ma è un abbaglio, un tragico abbaglio.
Il 1958 è un anno dai colori forti. Una fetta d’Italia si arricchisce e la restante s’impoverisce. Gela è l’icona del miracolo economico double face. "Nel blu dipinto di blu" trionfa a Sanremo, entra in vigore la Legge Merlin, che abolisce le "case chiuse", a Pio XII succede Angelo Roncalli, Giovanni XXIII, e Fidel Castro abbatte la dittatura di Batista a Cuba. A Gela dai pozzi della pianura sgorga il petrolio, mentre l'Eni assapora il successo conseguito nel 1957 con la firma dell'accordo con l'Iran che riconosce a Teheran il 75 per cento di proventi dall'estrazione.
Cerco invano, on line e nei libri, nelle biografie del professore, un cenno sulla partecipazione di Emanuele Morselli alle politiche del 1958. La vicenda è stata sepolta. Senza alcun danno, in verità. Eppure merita di essere conosciuta. Gela ha avuto il suo “Mario Draghi”, e l’ha bocciato, nonostante la pagella ricca di voti lusinghieri. Ma sarebbe ingiusto il “pollice verso” rivolto a Gela, stavolta. Il professore pretese molto dalla sua città: che tradisse Aldisio, la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, che mietevano consensi in città. E tradisse sventolando la bandiera del Comandante Lauro. Troppo, anche per un luminare di scienza delle finanze.
Potrei concludere qui, a questo punto. Ma sarebbe una omissione. Un caro amico, che ebbe l’onere e l’onore di presentare Emanuele Morselli in occasione del comizio di chiusura della campagna elettorale a Gela, mi aiuta a stanare i ricordi. Devo a lui lo “svelamento” di un episodio che spiega l’insuccesso del professore. Un comizio, piazza piena, una folla immensa che lascia presagire un grande risultato elettorale. Un abbaglio. Piazza Umberto è sempre affollata, illude anche i piccoli schieramenti grazie alla generosità dei gelesi che si radunano ogni sera nella loro piazza per scambiare quattro chiacchiere, che poi divengono otto o ancora di più.
La folla, comunque, resta un auspicio favorevole. E pare stavolta attendere l’oratore. Non volta le spalle al balconcino dal quale parlerà. Il candidato dovrà affacciarsi prima o poi, la gente vuole vedere il professore, del quale ha sentito parlare come un grande uomo. Il compito di annunciare l’imminente arrivo dell’oratore tocca al mio amico. Lo fa più volte, il professore non arriva. Un ritardo inspiegabile, che insinua nel folto pubblico le ipotesi più fantasiose. Una di esse racconta di un uomo affaticato e nervoso, che medita il forfait. Ed altre coinvolgono Salvatore Aldisio. L’ha riportato all’ovile, sproloquiano. I comunisti se la ridono, compiaciuti. Nessuno che dia una motivazione sensata al ritardo. “Fra pochi istanti sarà tra noi il professore Morselli…”, urla a squarcia gola il presentatore, mentre si alza il brusio della folla, stanca di aspettare, che comincia a voltare le spalle al balconcino.
Che cosa succede, dunque? Una schiera di amici, conoscenti sono partiti alla volta di Ponte Olivo, il bivio che conduce a Gela, dieci chilometri circa dalla città, per incontrarlo e permettere un ingresso in città scortato da una teoria di autovetture. Un omaggio doveroso. In quello spazio di tempo, tuttavia, accade qualcosa. A causa dello zelo di qualcuno. Chi siede in auto accanto a Morselli in quel tratto di strada che conduce da Ponte Olivo a Piazza Umberto, ha la cattiva idea di riferire al professore informazioni che potrebbero essergli utili per il comizio. C’è anche la maldicenza dentro le notizie dell’ultima ora. Salvatore Aldisio avrebbe fatto circolare una voce malevola, ”Morselli è un senza Dio”. Ateo, dunque. Una infamia, niente di più grave.
Il professore ascolta, rimugina, si chiude in se stesso. Tesissimo e fuori dalla grazia di Dio, il professore guadagna il balconcino, preceduto dall’ennesimo avvertimento alla folla del suo prossimo arrivo. “Ecco a voi….”. Ma stavolta è vero, il candidato era lì, in carne ed ossa. Alla sua vista il brusio tace. Emanuele Morselli afferra con la mano destra l’asta del microfono, guardando la folla, l’animo in subbuglio. Ma dalle sue labbra non esce nemmeno una parola. Rimane in silenzio imbarazzato ed inspiegabile. Uno, due, tre interminabili minuti. L’asta del microfono, amplificando, rimanda alla folla il tremore dell’oratore rimasto senza parole. Si crea un’atmosfera surreale nella piazza silente. Abbandonata l’asta, Emanuele Morselli infila la mano nella tasca della giacca, prende il portafogli e mostra un santino. Il Crocifisso, la Madonna o uno dei santi protettori della città? Non lo sapremo mai. Il santino viene baciato davanti alla folla, a riprova della fede in Dio. La menzogna va cancellata e subito.
La folla non capisce, della maldicenza non sanno niente. Il gesto non interrompe il silenzio. Poi il pubblico ode un urlo agghiacciante. “Ateo io?”, grida il professore, Esacerbato dalla malalingua, ha perso il controllo, al colmo della tensione emotiva. Né applauso. né parole. Si alza il brusio, poi torna il silenzio, e ancora una imprecazione del professore. “Ateo io?”, ripetè. E aggiunge: “Porco D…”.
Questa la versione dei fatti arrivata fino a me. Magari qualcuno ci ha messo di suo nella vicenda. Fatto sta che quel comizio anticipa l’esito delle urne. Decreta anzitempo la fine. La fine di un’avventura, un’incursione maldestra. Nemo profeta in patria, ancora una volta. La fama di galantuomo non ebbe a risentirne, di ciò si può esser certi. Emanuele Morselli non c’entrava proprio niente con i partiti, la politica e il Comandante Lauro.