Capita, a chi più spesso a chi meno, di trovarsi tra le mani un vecchio rotocalco, magari impolverato, sgualcito, e quando peggio con i lembi strappati.
Meglio quando il giornale è familiare e riconoscibile, per cui la curiosità ti porta a sfogliarlo e quando l’occhio va su un titolo di copertina e vi leggi il nome della tua città, non puoi fare a meno di sfogliarlo velocemente, fino a raggiungere la pagina dov’è pubblicato l’articolo che ha destato la tua curiosità e il tuo interesse. Se poi l’articolo è corredato di foto, l’interesse aumenta. A noi ci è capitato di imbatterci su un servizio pubblicato 64 anni fa dal settimanale “Oggi” (16 agosto 1956), a firma di Alfredo Ferruzza. Parlava di Gela. Abbiamo ritenuto utile ripubblicarlo, con un pizzico di nostalgia.
di ALFREDO FERRUZZA
Il sottosuolo della Sicilia riserva ogni giorno una sorpresa non soltanto per via del petrolio, i cui pozzi mettono sottosopra interi comprensori dalle coste agli altipiani dell’interno, ma anche per i tesori archeologici e le monete antiche che qua e là continuano ad affiorare. L’ultimo ritrovamento di preziosissime monete greche si è avuto alcune settimane fa a Gela, un grosso centro balneare in provincia di Caltanissetta. Della straordinaria vicenda se ne sono occupati sia i funzionari della Sovrintendenza ai monumenti sia alcuni agenti di polizia. E non perché la passione per la numismatica avesse preso improvvisamente i benemeriti tutori dell’ordine, quanto per le circostanze nelle quali il ricchissimo tesoro (si tratta di oltre mille esemplari) è stato scoperto.
IL SISTEMA DEL BICCHIERE
Nei pressi della stazione ferroviaria di Gela, su un’area di proprietà dei fratelli Alessi, una squadra di operai stava scavando a circa due metri sotto il livello della strada per preparare le fondamenta di un grande capannone. Il lavoro procedeva tranquillo sotto il sole cocente della terribile estate, quando una mattina il caposquadra notò una strada agitazione nel gruppo di una diecina di operai. Questi, uno alla volta, dopo essersi fermati pochi minuti attorno ad una buca, accusavano mal di testa, conati di vomito, dolorosi crampi in questa o in quella parte del corpo e chiedevano di andarsene via.
Il bravo uomo dapprima non ci fece caso, pensò quindi ad una lieve forma di avvelenamento collettivo, poi quando si decise di andare ad esplorare la buca che tante vittime aveva provocato non vi rinvenne nulla di particolare. Tastò la terra con le mani, fiutò più volte per sentire se dal fondo venisse qualche odore sospetto, interrogò quelli che erano nelle vicinanze, alla fine attese gli sviluppi di quella “epidemia” generale.
Il giorno dopo, gli undici operai tornarono puntualmente al lavoro non solo del tutto risanati, ma con una cera così bella quale da tempo non avevano mai avuto. «Un malessere passeggero ci aveva storditi», dissero in coro, «ma a casa abbiamo preso una purga e soprattutto abbiamo dormito a lungo ed ora eccoci qui più forti e volenterosi di prima». Ripresero infatti pale e badili e con buona lena fecero il possibile per ricuperare le ore di assenza del giorno precedente.
In verità, gli undici uomini non avevano dormito affatto, anzi chiusi nella casa di uno di loro, avevano vegliato tutta la notte attorno ad un grosso mucchio di monete diverse per misura, peso, conio e fattura, ma tutte meravigliosamente belle: le monete che poche ore prima avevano rinvenuto nella buca e che erano state la causa del malessere comune. Le cose si erano svolte in questo modo: il primo che si era trovato davanti al luccicante tesoro aveva subito intuito l’immensa importanza della scoperta e, soprattutto, l’immediato vantaggio finanziario che ne poteva ricavare.
Senza tradirsi, finse di continuare a scavare, mentre in realtà si affrettava con quelle monete a riempirsi le tasche e a imbottirsi le spalle e il petto, coperti dalla camicia. Quando capì che un pezzo di più avrebbe potuto compromettere tutto, a malincuore abbandonò la buca e, gridando di star male, corse dritto verso casa. Chi prese il suo posto, si comportò esattamente allo stesso modo, quasi eseguendo un misterioso ordine di servizio: anch’egli rimase abbagliato di fronte al tesoro, anch’egli dissimulò coscienziosamente ogni sentimento di meraviglia e, con le tasche piene, tagliò a tempo la corda.
Nel giro di poche ore ben undici uomini si susseguirono nel fosso e ciascuno portò a casa una cospicua porzione di monete. Solo l’undicesimo rimase deluso del poco che aveva potuto racimolare e fu lui, la sera, a fare il giro per le case dei compagni per indurli ad una più equa ripartizione del bottino. Aveva pronto un argomento formidabile, la minaccia di divulgare la notizia, e non dovette faticare molto a riunirli tutti, nel cuore della notte, attorno ad uno stesso tavolo. Qui ognun portò quanto aveva raccolto e ne venne fuori un bel mucchio. Poi, ubbidendo ad un rigoroso criterio di giustizia distributiva, il più anziano prese un bicchiere, uno di quelli che in estate servono per preparare l’acqua con l’anice, e iniziò la distribuzione. Il cumulo era così alto da consentire un doppio giro completo: due bicchieri colmi a testa con dentro oltre cento monete per ciascuno.
Questa straordinaria scena notturna – che ripeteva la tradizione in uso nelle aie piene di frumento dove il rappresentante del padrone distribuiva con una specie di grosso secchio tra i mezzadri il raccolto – è stata ricostruita dalla polizia, quando fu incaricata dal professore Dino Adamasteanu di far luce sul ritrovamento di Gela. Il professore Adamasteanu è un oriundo rumeno che, nella sua qualità di ispettore presso la Sovrintendenza alle antichità di Siracusa, presiede ad una serie di scavi nelle zone archeologiche più importanti dell’isola. E da alcuni anni egli, con i fondi messi a disposizione dalla Cassa del Mezzogiorno e dalla Regione siciliana, sta facendo attive ricerche proprio nel territorio di Gela e nelle sue immediate vicinanze. Contrariamente a quanto si è ritenuto fino ad oggi, il professore Adamasteanu ha potuto stabilire, sulla base delle ultime scoperte, che la civiltà greca non si fermò soltanto sulle coste dell’isola.
SVANTAGGIOSI BARATTI
Con la fine del secolo sesto avanti Cristo, anche il centro della Sicilia entrò a far parte del mondo ellenico, in cui tuttavia rimasero larghe tracce della civiltà delle popolazioni indigene. Simili conclusioni egli ha potuto trarre in seguito agli scavi compiuti a Vassallaggi, nel territorio di San Cataldo, altro comune in provincia di Caltanissetta. Niente quindi di strano se il professore fu uno dei primi ad essere informato, tramite i soliti confidenti, delle monete di Gela.
Quando a custodire un segreto sono più di tre persone, dice un vecchio proverbio, è come se la cosa sia di dominio pubblico e gli operai di Gela erano undici, con una gran voglia, per di più, di vedere quelle monete in fasci di biglietti da mille. Tra la fine di giugno ed i primi di luglio calarono nella cittadina strani personaggi, i quali, avvertiti a tempo, presero contatti con i fortunati operai, cercando di accaparrarsi gli esemplari più pregiati del tesoro. Per quanto si muovessero cautamente, tuttavia non passarono inosservati e qualcuno infine si tradì.
In questa stagione la Sicilia è percorsa da fitte correnti turistiche, composte prevalentemente da stranieri, i quali prorompono in grida di gioia davanti ai monumenti di Siracusa, e alla valle dei templi di Agrigento e non sono insensibili all’offerta di qualche moneta antica che furbissimi individui mettono loro davanti. Ora, novantanove volte su cento, si tratta di monete false, abilmente coniate e camuffate. La polizia lo sa ed interviene con energia. Ma capitano anche nell’isola dei veri amatori, degli autentici competenti di numismatica, ai quali, disposti come sono a spendere molti quattrini, mediatori e falsari non possono presentare esemplari di dubbia provenienza:
Per questi speculatori, la notizia del ritrovamento di Gela fu come l’annuncio della pioggia di manna per gli ebrei. Gli organi inquirenti, che nei giorni scorsi sono riusciti a individuare gli operai e a sequestrare il tesoro da essi gelosamente custodito, hanno trovato con sorpresa, accanto ai pezzi di inestimabile valore storico, anche alcune di quelle monete false, che costituiscono la merce ordinaria per i turisti di passaggio.
Sembra infatti che gli sterratori di Gela, se per un verso hanno fatto buoni affari con la vendita di alcuni esemplari, dall’altro siano rimasti vittime di svantaggiosissimi baratti da parte di un gruppo di ricettatori. Nonostante questi irreparabili contrattempi, che con ogni probabilità hanno fatto emigrare all’estero una parte del tesoro, quello ch’è rimasto ed è stato ricuperato costituisce, secondo gli esperti, uno splendido campionario delle monete greche del VI secolo avanti Cristo, il cui valore commerciali e di parecchie diecine di milioni.
Gli esperti stanno studiato i pezzi, uno per uno, per dare ciascuno l’esatta classificazione. Per la sede definitiva di tutto il tesoro, il sindaco di Gela ha già avanzato un’ipoteca, chiedendo alle autorità competenti, a nome dell’amministrazione comunale, che le monete vengano sistemate nel museo civico, a disposizione degli studiosi di ogni parte del mondo.