Ci sono 30 candeline da spegnere quest'anno su una "torta professionale" alla Procura della Repubblica del tribunale di Gela.
Trenta quanti sono gli anni di servizio in Magistratura prestati dal Procuratore Capo, Fernando Asaro (nella foto), 58 anni, palermitano, in servizio a Gela da sei anni. Lo raggiungiamo nel suo ufficio al quarto piano della "torre" di levante del palazzo di giustizia.
– Dott. Asaro, perchè ha scelto di fare questo lavoro?
«Non certo per tradizione dinastica, visto che non discendo da una famiglia di magistrati. L'ho scelto perchè da giovane siciliano e da palermitano ho vissuto gli anni '80 particolarmente duri e sconvolgenti».
– Erano gli anni della guerra tra vecchia e nuova mafia.
«Sì. Ma era anche il periodo in cui spiccava forte l'immagine di Giovanni Falcone, il coraggio suo e di altri magistrati. Da studente mi chiedevo cosa fosse quella mafia che ammazzava, terrorizzava, opprimeva, massacrando uomini come Piersanti Mattarella, o come il generale Dalla Chiesa.
– Palermo era una città mattatoio...
«C'era un clima invivibile che opprimeva le coscienze. Visitavo i luoghi simbolo in cui avvenivano gli omicidi per studiare e capire questo fenomeno criminale. E piano piano cresceva in me la voglia di mettermi in gioco, di fare qualcosa per una realtà dove la mafia uccideva alla media di un morto al giorno mentre l'ambiente giovanile appariva sempre più indifferente».
– Dopo 30 anni, alla luce della sua esperienza, rifarebbe questa scelta?
«Assolutamente sì. In maniera convinta e senza alcuna perplessità. Amo questo lavoro, o meglio, questo servizio, come diceva Rosario Livatino perchè ho scelto di servire lo Stato per il bene comune, per garantire legalità e giustizia».
Fernando Asaro giura da magistrato nell'ottobre del '92, proprio l'anno delle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Da sostituto procuratore viene assegnato alla Procura di Caltanissetta (1993-2000) e poi a Palermo (2000-2011) operando nella Dda anche su Agrigento, quindi alla Procura nissena (2011-2016) e dal 2016 subentra a Lucia Lotti alla Procura di Gela.
– Ora si profila una sua nomina a procuratore di Marsala, il posto che fu di Borsellino e nella terra del boss dei boss Matteo Messina Denaro. E’ tutto casuale?
«Ma no! Marsala è solo una proposta del Csm su una delle possibili destinazioni che ho richiesto in considerazione del fatto che ogni magistrato non può stare nella sede a lui assegnata per più di 8 anni. Sono a disposizione per seguire il “Valore Giustizia” ovunque esso sia».
– Qualche mese fa, in occasione del insediamento a presidente di questo Tribunale del dott. Roberto Riggio, lo stesso ha definito questo presidio come “dimenticato da Dio e dagli uomini”. Lei la pensa allo stesso modo?
«Il male peggiore dei piccoli tribunali come quello di Gela è il numero limitato di magistrati e soprattutto la scopertura permanente della pianta organica del personale amministrativo, senza il quale tutto rischia di fermarsi. Nei sei anni che sono in servizio a Gela ho dovuto prendere atto che il personale di cancelleria è rimasto scoperto sempre del 30%. Su questo lo Stato dovrebbe investire tanto. Purtroppo quello che è il settore pubblico, ovvero il bene comune, spesso viene trascurato, non adeguatamente valorizzato. Il rischio che comporta è la paralisi della macchina amministrativa statale in tutti i suoi settori».
– La carenza di organico tuttavia non ha impedito a questa Procura di ottenere risultati rilevanti. E’ una questione di metodo di lavoro, di qualità?
«Quando mi sono insediato a Gela ho detto che come la Legge è uguale per tutti anche le indagini preliminari sono uguali per tutti, senza sfere e ambiti di impunità, fermo restando che l'azione inquirente deve essere tempestiva. E qui mi pregio affermare che dalla notizia del reato alla richiesta di archiviazione o di esercizio di azione penale "Noi" della Procura impieghiamo mediamente 10 mesi, anche se siamo pochi. Uso il Noi, perché in questo ufficio si fa lavoro di squadra e i risultati arrivano in così breve tempo grazie all'opera eccellente di quei colleghi, sostituti procuratori, che ogni giorno sono qui, anche di sabato e di domenica, dai quali ricevo supporto e stimolo con passione, zelo e competenza».
– E se le vostre inchieste hanno riguardato qualche esponente politico abbiamo subito sentito parlare di giustizia ad orologeria...
«No comment. Il dovere del magistrato requirente è quello di andare a indagare, secondo Legge e senza eccessi, ogni ambito del caso in esame. Da chi ci guarda aspettiamo il rispetto e la capacità di comprendere che noi non abbiamo altri interessi se non il bene comune, il bene pubblico».
– Eppure negli ultimi tempi sembrava montare contro la Procura una velata polemica innescata dalle proteste di qualche imprenditore ch si occupa anche di politica.
«La Procura coordina gruppi di lavoro investigativo il cui scopo è quello di acquisire notizie di reato. Questo è il nostro dovere e la considerazione che chiediamo è quella di essere rispettati nelle indagini ma anche nelle scelte che facciamo. Se ci sono cose che non vanno in qualunque categoria, magistratura compresa, cose che costituiscono notizie di reato, devono essere portate avanti e poi rinviate a giudizio o archiviate, senza preclusioni, senza preconcetti senza impunità che non ci appartengono».
– Il riferimento riguarda anche alcuni avvocati di questo Foro, processati e condannati?
«Ognuno risponde delle proprie azioni. Sono stati condannati per patrocinio infedele e per truffa ai danni di loro clienti. Ma siamo ancora alla sentenza di primo grado, non definitiva».
– Comunque resta un brutto segnale.
«Non siamo qui nè per punire né per fare moralismo. Non spetta a noi. Guai se la Procura si mettesse a fare analisi sociologiche. Dobbiamo solo applicare la Legge. La verità processuale si forma nel dibattimento in aula quando di fronte sono accusa, difesa, imputato, persone offese, testimoni e organo giudicante. La garanzia costituzionale sta qui: vivere il processo, stare nel processo non sottrarsi al processo con mezzi e mezzucci. Questa è l'essenza di una democrazia».
– Sanità e rifiuti. L’ospedale rischia la chiusura. La città è sommersa dalla spazzatura, la gara di appalto va deserta una decina di volte e il servizio di smaltimento resta in regime di proroga. Cosa c’è dietro?
«Le nostre attenzioni investigative sono rivolte anche in quelle direzioni, nel settore della sanità come in quello dei rifiuti, ricordando sempre che questa è una Procura e può formulare eventuali richieste di imputazioni di natura penale o richieste di archiviazioni. Le vicende amministrative o politiche se non sono di rilievo penale non competono alla Procura. Tuttavia val bene ricordare che ci sono processi in corso e indagini in fase istruttoria, relativi sia a vicende riguardanti l'ospedale che la spazzatura».
– Gela attende da anni un risanamento ambientale che non arriva e nel frattempo perde l’ospedale, il porto, il futuro. Secondo lei, questa città è ormai lasciata al suo destino?
«Non so darle una risposta. Da procuratore le posso dire che per la magistratura non lo è in quanto i temi che lei ha citato sono stati e sono oggetto della nostra attenzione. Sotto il profilo ambientale infatti è di questi giorni la definizione di indagini preliminari con l'imputazione di omessa bonifica; è pendente in tribunale il sequestro preventivo, già avvenuto con nomina di un amministratore giudiziario, di un ramo aziendale della società dell'Eni che si occupa di bonifiche territoriali; è in fase dibattimentale il processo per "disastro ambientale". Ci sono state numerose condanne a carico di amministratori delegati di aziende Eni, alcune definitive, sia pure per reati contravvenzionali, dato che fino al 2015 la materia ambientale non era regolata da leggi penali. Come potete constatare l'attenzione della Procura c'è ed è massima. Ma se non ci sono prove penalmente sostenibili a dibattimento, si chiede l'archiviazione, fermo restando che noi siamo i primi a mandare gli atti relativi a queste vicende agli organi deputati al controllo contabile, civile, amministrativo se assumono aspetti di responsabilità specifiche.
– Le scuole crollano, i giovani lasciano gli studi e diventano vittime di questo stato di abbandono. C’è secondo lei il rischio che tornino a diventare attrazione della criminalità?
«Penso di no. Gli anni di piombo sono ormai alle spalle. C'è sicuramente una effervescenza nella delinquenza e in particolare in quella giovanile, nel mercato degli stupefacenti. Lo capiamo dagli interventi che vengono effettuati periodicamente nel territorio. Si cerca di bonificare piazze e luoghi dello spaccio perché la droga c'è. Possiamo rispondere a queste sollecitazioni con le indagini, con i processi. Sette anni e 6 mesi sono stati inflitti in primo grado a uno degli spacciatori. E tuttavia credo che la realtà giovanile di Gela vada distinta. Si è vero, c'è il bullismo, la violenza, la criminalità minorile. Ma c'è anche una Procura per i minorenni attenta e c'è un coordinamento costante. Per me le realtà giovanili di Gela, quella delle scuole che ho incontrato e quelle che vengono ospiti a palazzo di giustizia, sono delle realtà vive, sane, su cui investire senza però gravarle di troppa responsabilità, senza caricarle di aspettative smisurate».
– Se arriva il trasferimento a Marsala con quale spirito lascerà Gela?
«No, non le rispondo perché non lascio Gela. Quando andrò via da questa città magari ci rivedremo per un altro caffè e un'altra chiacchierata».