Gela è la sesta città siciliana, con oltre 70 mila residenti.
Una città che, sul fronte reddituale, ha fatto gola a tanti marchi aziendali nel settore del commercio, ma tale appetito non si è mai tradotto in un centro commerciale. Un dato strano in una realtà che non ha mai ad esempio voluto abbandonare l’idea di uno dei più grossi mercati settimanali dell’isola.
Sul piano dei supermercati ed alimentari, a Gela ritroviamo diverse insegne note, come Penny, Eurospin, Ard, Crai, Sisa, Todys, Coop, Mio, Conad e Paghi Poco. Idem sul piano dell’abbigliamento, calzature ed accessori, tra affiliati, franchising, monomarca e multibrand: ci riferiamo a Oviesse, Piazza Italia, Benetton, Terranova, Alcot, Low, Cyao, Upim, Conbipel, Scarpinando, Costa, Prenatal, Kasanova, Thun, Carpisa, The Bridge e via di seguito. Diverse le ferramenta ma mancano i grossi marchi Brico, così come quelli dell’abbigliamento tecnico, vedi Decathlon. Mancano i grossi marchi della Gdo alimentare, come Carrefour, Ipercoop, che sono trainanti nella creazione dei grossi centri commerciali.
Abbiamo cercato di capire il perché con alcuni interlocutori del settore, ma dopo aver iniziato dall’amministrazione cittadina anche par capire qual è la posizione in merito. L’assessore al ramo è vicesindaco Terenziano Di Stefano ci ha risposto che l’amministrazione è «favorevole ai centri commerciali e nulla ha in contrario, anzi andrebbe revisionata l’idea che la politica non ne vuole sapere. Tra l’altro personalmente – ricorda il leader del movimento “Una buona idea” – da presidente della commissione sviluppo economico, ripresi il progetto “Oasi 2005” di Russello, che fu portato in aula ed approvato.
Poi tutto si fermò. Quel progetto non andò avanti probabilmente perché non c'erano le condizioni. Poi incide molto anche la problematica infrastrutturale e stradale in particolare. Per cui ritengo – conclude Di Stefano – che la riluttanza sia più di carattere commerciale che politica, nel senso che non si ravvede con nitidezza un reale interesse della classe imprenditoriale in proposito. D’altronde, non posso negare che nessuna proposta ci è mai pervenuta al riguardo da quando ci siamo insediati».
Per contro, secondo il presidente della Confesercenti,
Rocco Pardo, «c’è stata una chiara incapacità politica alla base della mancata creazione di centri commerciali a Gela, perché non erano previste – precisa l’esponente di Confesercenti – all’interno del Prg, aree destinate ai centri commerciali. Ma aree agricole di cui si doveva cambiare destinazione d’uso ed altri lacci burocratici a corredo, che fanno perdere tempo all’imprenditore, disposto ad aspettare un anno, al massimo un anno e mezzo per vedere realizzata la struttura, con cui iniziare a far fruttare l’investimento».
Più precisamente, la mancanza di un Puc (piano urbano commerciale) calato all’interno del Prg (piano regolatore generale) e con esso l’assenza di un indirizzo di sviluppo del territorio, è espressione di scarsa lungimiranza da parte della classe politica, «ma non solo – aggiunge Pardo – manca, ad esempio, anche un “piano spiagge” per cui se voglio fare una struttura commerciale a mare, stile ex conchiglia, finisco con entrare in un tunnel di cui non si conosce con certezza l’uscita. Del resto, noi rimaniamo – prosegue – favorevoli non tanto ai grossi centri commerciali in mano ai grossi marchi nazionali, quanto piuttosto a centri direzionali integrati localmente, cioè strutture medie, trainate da una vasta area alimentare affiancata – conclude Pardo – a sua volta da esercizi ed attività legate al territorio: il chiaro esempio è il “San Giorgio” di Licata, erroneamente chiamato centro commerciale».
Rincara la dose, il presidente di Confcommercio, Francesco Trainito: «Non ci sono centri commerciali a Gela per una chiara volontà politica maturata nel passato. Bastava – rimarca – una conferenza dei servizi per lavorarci il giusto ed approvare tutto, mentre far passare diversi anni mortifica l’interesse dell'imprenditore. Basti pensare al recente esempio del marchio Rocchetta che ha preso il capannone di proprietà dei Melfa, perché già dotato di tutte le autorizzazioni. Gli imprenditori, specie quelli da fuori che vengono ad investire a Gela, non hanno tempo da perdere – sottolinea Trainito – giacché per loro il tempo è danaro è perdere tempo è uno spreco economico.
Peraltro – continua – l’attuale normativa regionale ha fissato paletti quasi insormontabile ed oggi, riflettendoci, questi grossi centri commerciali sono diventati anacronistici, come dimostrano le difficoltà evidenti in cui versano, vedi quelli dell’area catanese ad esempio. Difficoltà che si sono poi tramutate in condizioni critiche per il covid-19».
Un’epidemia, quella del coronavirus, che sta cambiando anche alcune logiche all’interno della Gdo: «non pochi marchi, costretti a ricorrere alla vendita on-line, hanno fatto – argomenta l’esponente di Confcommercio – di necessità virtù, sperimentando un modello spendibile anche per il futuro, che investe nella logistica accanto la vendita on-line: Ikea, ad esempio, ha creato un grosso centro consegne a Palermo. L’utente, cioè, compra on line e si fa consegnare o va a prendere il prodotto direttamente in deposito».
Per cui, più che i grossi centri commerciali, per Trainito, occorre scegliere tra due opzioni: «i centri commerciali naturali previsti già vent’anni fa da una legge regionale, ma sulla cui tendenza non si è creduto a sufficienza; ovvero le strutture medie come il “San Giorgio” a Licata, ma anche “Le Masserie” a Ragusa, nonché altre strutture della zona industriale vittoriese, comisana e ragusana per fare esempi a noi territorialmente più vicini. Insomma, a Gela sarebbe sufficiente individuare 2 o 3 aree – chiosa – con capannoni al massimo di 2500 metri, espressamente previste nel puc inserito all’interno del prg, evitando di conseguenza l’odioso ricorso, caso per caso, a varianti urbanistiche e quant’altro».
Non le manda a dire nemmeno il presidente di Conflavoro Pmi, Eugenio Catania, già assessore nella giunta Messinese: «A Gela non si costruiscono centri commerciali, non si fa l'allargamento o meglio l'ampliamento dei loculi cimiteriali, non si sistema la questione del porto...semplicemente perché – accusa – è una città ostaggio dell'interesse dei pochi a scapito dei molti. Anzi, forse definire Gela una città è sbagliato, perché definirla città significherebbe implicitamente ammettere che ci sia una comunità o un tessuto sociale che intesse relazioni. In realtà – sbotta provocatoriamente l’esponente di Conflavoro Pmi – questo grosso agglomerato urbano è stato ed in parte ancora continua ad esprimersi come un'estensione della fabbrica di idrocarburi, solo di recente fortemente ridimensionata».
Certo, vista così, la questione diventa a dir poco semplice e spiegherebbe tante cose: «nella nostra città – chiarisce l’ex assessore – non c'è una comunità, non c'è una classe dirigente e non c'è un dibattito o una pianificazione dello sviluppo. Comunità e relative espressioni urbane a noi confinanti, come Licata, Vittoria e persino Butera, sono prima di tutto per l’appunto delle comunità con un tessuto sociale vivo. Gela, invece, si riduce ad un’arena, un luogo in cui diversi gruppi non omogenei, non intessono relazioni ma scontri, sia politici che sociali ed economici. Così – conclude amaramente Catania – non c’è sviluppo, si blocca sempre tutto e non si va da nessuna parte».