La scorsa settimana è stata inaugurata la bioraffineria di Gela.
Presenti il capo dell'intera divisione Refining & Marketing di Eni, Giuseppe Ricci (già presidente di Rage anni fa), il suo alter ego nazionale nella divisione, Bernardo Casa (già amministratore delegato di Rage anni fa), l'attuale capo esecutivo di Rage, Ignazio Arces e il presidente della bioraffineria gelese Francesco Franchi.
Nei vari interventi degli stessi, si è messo in evidenza come quella di Gela sia cronologicamente la seconda raffineria "green" targata Eni in Italia dopo quella di Porto Marghera, ma con una tecnologia ancor più avanzata. Salutata come il più innovativo impianto di produzione di biocarburanti in Europa, è stata associata a termini come sostenibilità, economia circolare, decarbonizzazione ed altri che tanto di moda vanno oggi. Gela quindi che cambia di colpo immagine, radicalmente, con una riconversione definita d'avanguardia. Ma alcune perplessità rimangono e come siamo abituati a fare, non abbiamo remora alcuna ad esternarle di seguito.
Nel corso della presentazione inaugurale della bioraffineria, è stato diffuso un video che è reperibile anche sul web. Un filmato di pochi secondi con un messaggio chiaro: l'inizio della trasformazione. Basta però mettere il video in pausa ed osservare il fermo immagine per notare, piuttosto agevolmente, ciò che sullo sfondo costituisce il resto del sito, un museo industriale a cielo aperto di dimensioni enormi, a fronte di un piccolo impianto produttivo. Sarebbe questa l'icona d'avanguardia? Stentiamo a crederlo.
Altresì, pur sorvolando sull'assenza del presidente della regione Nello Musumeci e del suo assessore alle Attività produttive (Industria in testa) Girolamo Turano, leggiamo anche le parole dell'assessore all'energia e servizi di pubblica utilità (acqua e rifiuti), Alberto Pierobon, che non è gelese e manco siciliano, se è per questo. E’ veneto (di Cittadella vicino Padova) e senza troppi fronzoli battezza quella di Gela come un'iniziativa "pioneristica", riservandosi evidentemente un giudizio più esaustivo, oltre che più serio e coerente, in futuro.
Perché al di là delle espressioni trionfalistiche di comodo, i fatti ci dicono che la tanto declamata riconversione della Raffineria di Gela, che era un imponente sito di raffinazione convenzionale di greggio pesante che altri siti non riuscivano nemmeno a trattare, ad oggi si concretizza in un piccolo impianto produttivo di bioraffineria circondato da una serie di impianti pilota, iniziative sperimentali ed attività di ricerca, con ricadute occupazionali irrisorie e senza alcuna garanzia che eventuali risultati positivi di tali esercizi vengano poi destinati a Gela.
In effetti, quello della bioraffineria è l'unico impianto produttivo rimasto. E pure piccolo. Il “waste to fuel” è un impianto pilota di Syndial (Eni ambiente) inaugurato alla fine dello scorso anno in materia di rifiuti. Il progetto "guayule", con piantine coltivate già nel 2016 per la produzione di lattici naturali è un'iniziativa sperimentale di Versalis (Eni chimica) prevista nel protocollo del 2014; così come era previsto uno studio di fattibilità per la realizzazione di una base logistica per la distribuzione di GNL/CNG, le cui potenzialità sul versante dello sviluppo della portualità (industriale e commerciale) e delle infrastrutture (anche ferroviarie e stradali) per il trasporto sono enormi ma del cui iter, invero, si sono perse un po' le tracce.
Nella metà dello scorso anno è stato siglato l'accordo fra Eni e Cnr (Consiglio nazionale delle Ricerche) che prevede lo stanziamento di 20 milioni di euro per quattro centri di ricerca in settori ritenuti strategici per lo sviluppo dell'Italia, con Gela che ospiterà il centro di ricerca sulla fusione nucleare, in particolare sul "nucleare pulito", cioè ingenti quantità di energia a emissioni zero. A tutto questo vanno aggiunti il Safety Competence Center ed il Safety Trainnig Center per quanto concerne la formazione e l'addestramento in materia di sicurezza, primo soccorso, antincendio, ecc.
In altri termini, la riconversione di cui si parla è un piccolo impianto produttivo "green" al centro di un "laboratorio" sperimentale, con tanto di dazio da pagare, in termini di perdite occupazionali, di non poco conto. Il "diretto" della bioraffineria si riduce a 400 unità ma è un numero "politico" compensativo delle perdite perché ne sarebbero sufficienti almeno la metà. Non è detto, quindi, che questo numero si alzi se e quando entrerà in funzione il Nuovo Centro Oli.
Con l'entrata a regime della bioraffineria l'indotto sarà fortemente ridimensionato, per non dire azzerato, con l'unica speranza di tirare ancora avanti per qualche anno fornita dal nuovo impianto di trattamento e compressione da realizzare all’interno della raffineria, in cui verrà trattato il gas dei campi Argo e Cassiopea che verrà inviato tramite una condotta sottomarina con approdo sulla costa che sfrutterà come struttura la condotta “presa di acqua di mare per impianto di dissalazione Anic-Gela” esistente ad est del pontile di raffineria. Un progetto che rischia seriamente di saltare o di essere rinviato per molti mesi in caso di mancata autorizzazione ministeriale (proroga Via) che secondo cronoprogramma dovrebbe essere rilasciata entro la metà di questo mese.
Tutto questo in aderenza alla nuova logica industriale 4.0 che, grazie all'ampia portata delle applicazioni tecnologiche, vede ad esempio il controllo "da remoto" (direttamente dalla base o centro direzionale) con tanto di svuotamento delle sale di controllo "in loco" e la scomparsa praticamente della figura del "capo turno", sostituito da quella del "reperibile", assimilabile al tecnico che chiami quando non funziona la caldaia a casa. Ne deriva un capovolgimento dei termini del rapporto centro-periferia, con impianti produttivi di 400 unità come a Gela, utili a giustificare e legittimare i 4000 addetti al Centro direzionale di San Donato Milanese.
Basta andare sulla pagina del "recruitment eni" nel sito istituzionale del "cane a sei zampe" e su una cinquantina di "posizioni aperte", una quarantina riguardano San Donato Milanese, mentre per il resto si tratta di specialisti destinati a fare la spola tra un sito ed un altro ed una sola posizione aperta che ricerca un addetto operaio all'impianto produttivo di Crescentino.
Aveva ragione da vendere, allora, il compianto gelese Guglielmo Moscato che tanto volle il centro direzionale Enimed a Gela, senza il quale oggi tutti gli addetti che vi lavorano si ritroverebbero altrove. Un centro direzionale a cui fa capo l'intero upstream eni (pozzi onshore e offshore) nell'isola. Upstream che è diventato negli ultimi anni il vero "core business" della multinazionale. Moscato si è dimostrato un manager lungimirante, che sapeva cioè vedere lungo e dedicargli l'intitolazione dello spazio dei muretti a Macchitella ("Largo Guglielmo Moscato") non sarebbe affatto cosa sbagliata. Dei 73.854 residenti gelesi secondo i dati Istat del 31 dicembre 2018, ne basterebbero 854 come lui per dettare la linea ai restanti 73 mila ed imprimere finalmente una svolta a Gela.
Sicché, nella silente complicità e disarmante impotenza dimostrata dalle forze sindacali e politiche presenti nel territorio, informiamo che nel 2018 la presenza Eni a Gela tra Rage, Enimed, Eniservizi, Syndial, Versalis, SCC e le altre "corporate" conta poco più di un migliaio di addetti di cui pressoché 3/4 (circa 750) residenti a Gela. Dei 32 milioni di compensazioni previste nel protocollo del 2014, ne sono stati già impegnati 9 milioni e mezzo, nell'ambito di 4 accordi attuativi: a) Riqualificazione della portualità gelese, ripristino funzionale e potenziamento del Porto che prevede un impegno di spesa di Eni di circa 5,9 milioni di euro; b) Ristrutturazione e riqualificazione dell’ex Casa Albergo Macchitella per la creazione di uno spazio polifunzionale, con un impegno di spesa Eni pari a 2,5 milioni di euro (l'avvio del cantiere era stato fissato per il mese appena passato); c) Contributo per la progettazione degli interventi previsti dalla “Strategia di Sviluppo Urbano Sostenibile dei Comuni di Gela e Vittoria (Agenda Urbana)”, con un impegno di spesa di 1 milione di euro; d) Allestimento di uno spazio espositivo per il reperto della nave greca, secondo un progetto concluso nel 2015, con un contributo di Eni di circa 147 mila euro.